In questo articolo vi racconterò le origini, gli artisti e la diffusione della stand-up comedy dall’amarica all’Italia. Considerata una vera e propria arte, ha rivoluzionato il modo di fare satira e la comicità in generale. Vediamo nel dettaglio.

Le origini americane della stand-up comedy

Un muro e davanti un attore con il microfono che si mette a nudo, senza filtri, censure o presenza della quarta parete. Anche chi crede di non sapere cosa significa stand-up comedy sicuramente l’ha vista in tanti film e telefilm americani. Il comico è in piedi — standing up — e fa i suoi monologhi con il microfono in cima all’asta.

Alle spalle ha un muro di mattoni, tipico dei localini newyorchesi dove, a partire dagli anni Sessanta, il cabaret inglese dei vaudeville e dei music hall si trasformò presto in un febbricitante laboratorio in cui mixare confessioni personali, satira dei costumi e irriverente invettiva politica.

Niente travestimenti, trucco o costumi, e soprattutto nessuna spalla comica con cui duettare di fronte agli spettatori. Stand up comedy significa, per il comico, essere solo su un palco illuminato e rivolgersi a una sala gremita di gente, meglio se ubriaca, che ride nell’oscurità.

Nella storia della stand up angloamericana è inevitabile tracciare una linea di demarcazione tra un ‘before’ e un ‘after’ Lenny Bruce, considerato il vero capostipite di questa nuova arte.

Anche se la comicità americana (sia teatrale sia televisiva) si è sempre occupata di satira (basti pensare ai contributi di artisti quali i fratelli Marx, Mort Sahl, Jack Paar, Jackie Mason) è solo grazie a Bruce che la stand-up comedy ha ricevuto la sua consacrazione, inaugurando la sua golden age con autori del calibro di George Carlin, Bill Hicks, Doug Stanhope, Dennis Miller, Lewis Black, Bill Burr, Eddie Hizzard, Steven Wright, Stewart Lee e poi un secondo ciclo con le star attuali Louis CK e Ricky Gervais.

La parresia e il significato politico della stand-up comedy

Lo stand up comedian è un outsider, un ‘fool’ e un ‘trickster’, nel senso antropologico del termine. Possiamo anche intenderlo come ‘preacher’, o addirittura un ‘parresiasta’. Carla Benedetti afferma nel suo saggio Il tradimento dei critici: “Il ‘parrhesiastes’ dice qualcosa che si deve dire perché è la verità, nonostante sia contraria all’opinione della maggioranza, nonostante possa dispiacere al tiranno (o persino a un dio)”.

Da un lato quindi lo stand up comedian è, nell’accezione di Bruce (che nega infatti di essere un comico in senso classico), un parresiasta e il suo fine non è tanto l’entertainment’, quanto piuttosto qualcosa a cui si arriva attraverso l’intrattenimento.

In un’intervista del 2006 George Carlin ha affermato che il compito principale dello stand up comedian è “to push the envelope”, spingere, a ogni nuovo show, sempre un po’ più in là il limite di ciò che è lecito dire sul palco. Ciò comporta il rischio maggiore per il comico: il venire frainteso, non seguito, o peggio ancora disprezzato. Il problema delle ‘bullshit’ che i media e le istituzioni vendono al pubblico è che tali bugie sono dannose. Possono fare del male.

La catarsi

Combattere tale sistema significa cercare di invertire il ciclo, dimostrare che nulla di ciò che ci viene detto o fatto credere potrà mai essere neutro, non a caso il nemico giurato della satira è sempre stata la censura. 

Il fine dello stand-up comedian è, tra gli altri, poter usare un linguaggio scurrile sul palco, non tanto a fini provocatori, piuttosto come atto profondamente politico. Dirà infatti Bruce in uno dei suoi più illuminanti aforismi: “Take away the right to say ‘fuck’ and you take away the right to say ‘fuck the government’“.

In questo caso l’intento di Bruce è disinnescare una volta per tutte il potere della parola proibita. Così come la dittatura intrisa d’ipocrisia degli eufemismi. Lo stand up comedian persegue questa via d’indagine fino ad andare a rimestare nei torbidi delle pulsioni umane più inconfessabili. Nelle ingombranti contraddizioni e fragilità che, una volta esorcizzate sul palco tramite lo strumento della risata, ci liberano, come una catarsi, rendendoci – forse – cittadini più consapevoli.

La stand up comedy in Italia

Sono cinquant’anni che la stand-up può considerarsi una forma d’arte oltre che d’intrattenimento, ma solo da qualche anno una generazione di comici italiani comincia a farla scientemente, smarcandosi dalla tradizione italiana della commedia dell’arte e dalle mille varianti del cabaret.

Per intenderci: il comico di piazza che fa i tormentoni o il monologhista più o meno impegnato erede di Dario Fo, Paolo Rossi, Lella Costa, Bergonzoni, Beppe Grillo, Benigni. Un discorso a parte meriterebbe il caso di Daniele Luttazzi, che io considero a metà tra monologhista di satira e stand-up comedian. 

Le ragioni per cui la nuova generazione di giovani comici italiani sono finiti nella stand- up piuttosto che nel più frequentato cabaret sono abbastanza semplici. Nati per lo più tra gli anni Ottanta e i Novanta, si sono trovati davanti a questo scenario: mentre la grande stagione dei fratelli Guzzanti e dei programmi di Serena Dandini andava esaurendosi, si imponeva prepotentemente Zelig, con la sua comicità addomesticata e politicamente corretta fatta di personaggi e tormentoni.

La nuova generazione, però, è sfuggita al pensiero comico unico rifugiandosi nel comedy club globale della Rete: YouTube. Con l’inizio della banda larga nello scorso decennio si cominciavano a caricare i video dei comici stranieri di stand- up, grazie anche ai primi siti web dedicati con i sottotitoli in italiano, tra i quali non si può non citare Comedy subs (oggi Comedy bay). Così divenne normale passare la serata gustando i monologhi dei grandi stand up comedian americani, da Woody Allen a Louis C.K, da George Carlin a Jerry Seinfeld etc.

I locali di stand-up comedy

Il primo ostacolo per la diffusione della stand-up comedy in italia è la mancanza di comedy club. Come dice Saverio Raimondo, che in tv fa CCN per Comedy Central Italia e cura da qualche anno, con Francesco De Carlo e Edoardo Ferrario, le serate dell’Oppio Caffè di Roma con vista sul Colosseo, la stand-up comedy è uno “spettacolo comico in assenza della quarta parete, quindi esiste dove ci sono i comedy club. In Italia, se vogliamo, è impossibile che ci sia pura stand-up comedy perché non ci sono ancora i comedy club: locali notturni dove la gente va a bere, dopo il lavoro, a fine giornata.” 

La maggior parte dei locali che in questi ultimi anni hanno promosso la stand up comedy sono improvvisati. Un teatro come il Franco Parenti di Milano fa il tutto esaurito in una sala da cento persone: non esattamente un comedy club, a Palermo al Cinematocasa, “il più piccolo cineristorante d’Italia”.

La Factory di Renato Tabacchi a Bologna, una serata del Macondo, Satirarum di Napoli è allo Spazio Ztn, a Torino da un anno a questa parte c’è l’ Off topic (con una nutrita programmazione dedicata alla stand up comedy e con serate open mic per scovare nuovi talenti), a Venezia il teatro all’Avogari e tante altre piccole e medie realtà. Eppure nessun locale si chiama ancora ” comedy club”.

Dal progetto di Satiriasi all’esordio in Tv

Satiriasi nasce nel 2009 da un’idea di Filippo Giardina che, dopo anni di faticosi monologhi satirici in sagre infestate da famiglie, vecchi e bambini, avverte l’urgenza di creare uno spazio idoneo in cui portare un nuovo stile comico, e inaugura la stagione della stand-up comedy in Italia.

Come tutte le avanguardie che si rispettino, anche il nuovo progetto di Giardino comincia con un manifesto di quindici punti.  Chiunque avesse partecipato al progetto avrebbe dovuto aderire a questi punti. In esso, è richiesto al comico di produrre contenuti con intenti artistici più onesti e personali, spingendolo ad avvalersi del proprio vissuto, oltre ovviamente ai classici temi della satira: politica, religione, sesso e morte.

La Squadra di Satiriasi

Condivisa l’idea con Stefano Augeri, Filippo Giardina seleziona una squadra di dodici comedians provenienti da diverse esperienze teatrali, televisive e autoriali, pronti ad aderire al manifesto, e organizza le prime due edizioni al MADS di Roma, di fronte a un piccolo pubblico, che aumenterà man mano grazie al passa parola.

Infatti, nel 2011, il progetto viene spostato alla Locanda Atlantide, (sempre a Roma), dove resterà sotto la direzione artistica di Filippo Giardina fino alla quinta ed ultima stagione nel 2014. Il gruppo riformato consterà di otto comedians, ovvero: Filippo Giardina, Giorgio Montanini, Francesco De Carlo, Saverio Raimondo, Mauro Fratini, Velia Lalli, Pietro Sparacino e Daniele Fabbri (quest’ultimo abbandonerà il gruppo nel 2013).

Ben presto le emittenti televisive fiutano le potenzialità di questa nuova ondata nascente di comicità, e cercano in qualche modo di inserirla nei propri palinsesti.

La stand-up comedy in Tv

Nel 2012 Saverio Rimondo, Francesco De Carlo e Mauro Fratini partecipano alla trasmissione Un due tre stella di Sabina Guzzanti su La7, mentre nel 2013 tutti i comedians del gruppo partecipano ad Aggratis! su Rai 2.

Una trasmissione fallimentare, che ha avuto però il merito di evidenziare l’incapacità, da parte della televisione, di creare un format adatto per questo prodotto, preferendo ricalcare la tipica formula fatta di tempi brevi, presentatori/imbonitori, pubblico/immagine.

Un anno dopo ci riprova Italia1 con la messa in onda di X Love, programma “spin-off” de Le Iene, che ha tentato di accostare a servizi giornalistici a tema sessuale/amoroso monologhi comici nella formula della stand up, nel quale l’unico proveniente da Satiriasi è Sparacino.

Sempre nel 2014 arriva Nemico Pubblico su Rai 3, con Giorgio Montanini, che vede intervallato a candid camera sociali veri e propri monologhi di stand up, nonostante il linguaggio leggermente edulcorato. Infine, è Comedy Central su Ski a offrire a Satiriasi lo spazio perfetto per esibirsi, Stand Up Comedy Show, trasmissione che porta in scena senza censure (tranne rarissimi casi) la comicità caustica del gruppo.

Qui si assiste alla rivoluzione copernicana: non sono i comici che vanno in televisione, ma è la televisione che va da i comici, istituendo uno spazio protetto che richiama l’intimità tipica dell’esperienza dal vivo.

2 scuole di stand-up comedy

In Italia la stand up si divide in due tendenze: una stand-up più civile e politica, come nei casi di Fabbri, Montanini, Sparacino, Giardina e una stand- up più di osservazione, meno polemica e più esistenziale, come quella di Raimondo, Michela Giraud, Luca Ravenna.

Le due tendenze sono unite da una necessità comune: fare palco, trovare posti dove esibirsi ogni settimana, per perfezionarsi. Le prove del comico sono tutte aperte, senza rete, col materiale da limare e necessitano di un pubblico per misurarne l’efficacia, pubblico che può essere insieme amico divertito o nemico brutale. Dopo i programmi in Rai e Mediaset la stand-up approda anche su Netflix.

Da sempre il catalogo della famosa piattaforma video on demand offre una ricca scelta di spettacoli di stand-up comedy sottotitolati, provenienti da quasi tutte le parti del mondo.

Ebbene, dal 15 marzo anche l’Italia ha esordito con lo special di Edoardo Ferrario, al quale ha fatto seguito quello di Francesco De Carlo (12 aprile) e di Saverio Raimondo che andrà in onda il 17 maggio. Dal palco del Santeria Social Club di Milano, i tre show prodotti da Dazzle in collaborazione con Aguilar Entertainment saranno visibili nei 190 paesi in cui Netflix è disponibile.