In questo articolo ci occuperemo dello storytelling d’impresa: corporate e brand management. Analizzeremo l’importanza del piano narrativo  e degli archetipi e concluderemo con due case studies sullo storytelling in Italia.

Lo storytelling nella comunicazione

Chi si occupa di creatività e comunicazione pubblicitaria sa che lo storytelling è arrivato appena si sono placati gli entusiasmi per il viral marketing e l’ambient media. Una volta esaurite le euforie per la guerrilla o lo street marketing, si è cominciato a sostenere che lo storytelling avrebbe salvato il mondo dell’advertising, perché i nuovi consumatori, in fondo, amano le storie. Che fenomenale scoperta! Eppure, dalla metà degli anni Novanta, lo storytelling incontra effettivamente un enorme successo in molteplici ambi­ti della vita sociale: dalla politica al marketing, dalla pubblicità alla formazione, dalla progetta­zione dei parchi a tema all’universo del gaming.

Siamo stati testimoni di un’inedita quanto insperata al­leanza tra letteratura e impresa. La crisi delle moderne meta-narrazioni indebitate con le filosofie della storia di stampo novecentesco hanno sdoganato l’avvento di micro-narrazioni, riferite ad ogni ambito dell’espe­rienza umana: in questo senso, anche il mon­do dell’impresa è stato travolto dall’inatteso revival del racconto. In realtà, lo storytelling promette molto di più: si propone come forma discorsiva dell’azienda post-moderna, un’im­presa liquida e plurale, in continuo cambiamento, che declina la propria comunicazione di corporate secondo i criteri dell’emotional branding

A onor del vero piccole fiction e slice of life erano presenti in pubblicità fin dai tempi del Caro­sello, con l’obiettivo di catturare l’attenzione dello spettatore, ma l’advertising in quel periodo ruotava interamente attorno al prodotto, alle sue caratteristiche e alle sue prestazioni.

Nell’era post-pubblicitaria siamo invece alle prese con un’importante novità: lo sviluppo di una narrazione non più del marchio, bensì di marca. Ciò presuppone che la marca abbia una personalità, un carattere, un’identità, che possono evolvere e cambiare nel corso del tempo. Perché ora con il passaggio dallo share of marketing allo share of attention, l’attenzione dei pubblici si è ridotta davvero ai minimi termini e possiamo coinvolgere solo se condividiamo valori e destini con i nostri interlocutori.

L’importanza dell’approccio narrativo

L’ approccio narrativo alla conoscenza è stato teorizzato, tra gli altri, da Bruner, il quale ha introdotto una differenza fondamentale in campo  gnoseologico e pedagogico tra una comprensione para­digmatica e una comprensione narrativa.

La prima modalità cognitiva procede in modo lineare, logico-matematico, puntando a separare, a definire, a comparare, a calcolare. Essa ammette solo un’unica rappresentazione della realtà alla volta, in quanto è orientata alla va­lidazione secondo il criterio del vero e del fal­so.

Il pensiero narrativo consente invece una pluralità di rappresentazioni contemporanee del mondo, dal momento che il suo criterio di validazione è la plausibilità. Questa moda­lità cognitiva si nutre dunque di simboli, di miti, di metafore e di analogie, occupandosi di ciò che indirizza e orienta un’azione umana, conferendogli significati.

In particolare, la conoscenza narrativa consente di stabilire un legame tra l’eccezionale e l’ordinario: attraverso le narra­zioni le persone cercano dunque di elaborare spiegazioni, interpretazioni e giustificazioni per quanto di imprevedibile avviene nella vita quotidiana. In seconda battuta, la nozione di sapere narrativo si accosta alla metafora del mondo-come-testo. Come insegnano gli studi di Hans Blumenberg infatti: l’uomo è quell’essere antropologicamente mitomorfo. Non potrebbe sopravvivere senza un’estensione continua del suo universo simbolico.

Storytelling e capitale narrativo

Un altro concetto fondamentale per comprendere lo storytelling è quello di “capitale narrativo”, un termine mutuato dal lessico di Pierre BourdieuCome è possibile che un racconto possa produrre valore?

Come afferma Andrea Fontana, maggior esperto di storytelling in Italia: “semplicemente perché il racconto è la parte mancante di ogni economia. O meglio, è la parte su cui ogni economia si fonda. E la parte che costruisce la ragione d’essere del numero, l’argomentazione commerciale, la motivazione di acquisto, la raffigurazione del dato. La narrazione diviene così il sistema di collegamento tra dato e significato, tra evento e percezione, tra kronos e mythos. In sostanza, come ampliamente dimostrato dalla psicologia post-cognitivista, dalla psicologia copionale e dalle neuroscienze contemporanee: i racconti (sistemi di rappresentazione) che incontriamo, frequentiamo, viviamo, ci permettono di vivere, spiegare la realtà che ci circonda, nutrirci di significati, evitando quindi di impazzire nell’orrore assoluto del non senso”.

Storytelling management

Il primo filone, quello dello storytelling ma­nagement, prende le mosse da un interesse pre­valentemente strumentale. L’arte di raccon­tare storie è concepita come metodologia, uno strumento utilizzabile per rendere la comunicazione più coinvolgente e accattivante.

A tal fine, diventa oggetto di interesse tutto ciò che può incamerare un elemento narrativo, traducibile a sua volta in un artefatto simbo­lico, capace di comunicare a pubblici diversi: in questa prospettiva, possono diventare racconti tutti i discorsi con cui la direzione strategica cerca di orientare l’opinione pubblica, ma pos­sono essere rielaborati in termini narrativi an­che i messaggi diffusi all’interno dell’organiz­zazione, così come i processi comunicativi tesi a presidiare i significati che le persone attribu­iscono alle proprie esperienze di consumo.

Un meeting, un commercial, un comunicato stam­pa, il design di un prodotto, una newsletter, un logo aziendale, un programma di infotainment, un advergame, le dichiarazioni valoriali conte­nute nei documenti che definiscono l’identità d’impresa: tutte queste espressioni possono veicolare all’interlocutore un elemento narra­tivo, che può essere anche soltanto accennato, non per forza sviluppato in forma or­ganica.

Non mancano, all’interno di questo filone, le applicazioni originali: basta pensare alle cam­pagne pubblicitarie sviluppate in forma di fic­tion a puntate (Barilla, Tim, Lavazza), secondo la logica dell’advertainment. Gli obiettivi principali del brand management sono:

  • analizzare le dinamiche del racconto del brand;
  • analizzare i diversi pubblici a cui il brand racconta costruendo una narrability efficace;
  • comprendere meglio gli insight dei consumatori e dei clienti;
  • ridefinire i racconti del brand e le declinazioni mediatiche del brand stesso.
  • diffondere consapevolezza e ingaggio su marca e prodotti/servizi;
  • costruire argomentazioni di vendita per posizionare e ottimizzare iniziative commerciali.

Il corporate storytelling

Il secondo filone, quello dell’organizational o corporate storytelling, si sviluppa nel campo degli studi organizzativi: il punto di partenza è la convinzione di come storie, saghe, miti, riti e liturgie aziendali possano incarnarsi nel nucleo pro­fondo di una cultura organizzativa.

Da quì, l’at­tenzione si focalizza sul vissuto concreto delle persone che operano in azienda, su ciò che rimane nell’ombra dietro i discorsi e i comportamen­ti ufficiali. L’analisi delle storie organizzative, raccolte dalla viva voce dei protagonisti, por­ta alla luce un complesso e variegato intrec­cio di racconti, prassi, esperienze soggetive che si parlano, si scambiano, si alimentano.

Emergono così narrazioni paral­lele, diverse e alternative rispetto a quelle ca­noniche: rumori di fondo, frammenti, nei quali si depositano le vite personali, con tutto il precipitato di desideri e vissuti inconsapevoli, in cui si annida l’identità profonda dell’organizzazio­ne. Gli obiettivi principali del corporate storytelling sono:

  • generare operazioni di sense-making per dare spessore alla realtà organizzativa quotidiana che altrimenti rischia di essere vuota e carente di spinta motivazionale;
  • creare identità per gestire le dinamiche di cambiamento continuo;
  • custodire la memoria garantendo così una continuità delle pratiche e un orientamento dei comportamenti;
  • costruire e presidiare una cultura fatta di valori e atteggiamenti che poi si proiettano nella prassi di lavoro quotidiano;
  • promuovere e presidiare la brand identity.

Gli strumenti dello storytelling e il narrative plan

Cos’è una storia d’impresa? È uno script, un format di racconto. Per costruirla, ossia per creare a una narrazione aziendale convincente, coerente e persuasiva, bisogna sapere che la struttura di un racconto d’impresa non si discosta di molto da quella delle storie e delle grandi narrazioni che ci accompagnano dall’alba dei tempi. 

Dagli studi di Vladimir Propp sulla fiaba russa, fino a quelli di Algirdas Julien Greimas sulla struttura degli elementi che compongono ogni storia e sulla gerarchia che li lega, il repertorio di teorie e analisi sul modo in cui raccontiamo si arricchisce continuamente. Ciò che resta immutato è lo schema di fondo. Oggi, grazie anche all’avvento dei canali digitali, che permettono a ognuno di produrre contenuti sotto forma di narrazioni, possiamo sostenere che una storia aziendale è una sorta di paradigma del contenuto.

Una struttura insostituibile che serve a organizzare eventi, valori aziendali, protagonisti, in una cornice narrativa che emoziona, suscita interesse, appeal, e soprattutto trasmette un più consapevole senso di comunità.

Due esempi di storytelling in Italia

Ora analizzeremo due campagne condotte in Italia da ENEL con la metodologia dello storytelling. Una di grande successo e l’altra rivelatasi una debacle. Nel primo caso la campagna, attraverso uno spot, ha riscosso un grande successo, confermando come l’approccio narrativo, se utilizzato con competenza e intelligenza, sia capace di suscitare emozioni e implementare la brand reputation.

La seconda invece è un imbarazzante esempio di epic fail e testimonia dei rischi di uno storytelling poco collaudato e soprattutto di un’attività di storylistening poco accorta. La campagna si è rivelata un boomerang, riscuotendo critiche feroci e reazioni indignate da parte del pubblico soprattutto sui canali social, provocando un cortocircuito tra la brand identity e la brand image.

Vediamole nel dettaglio.

Lo storytelling nello spot Enel 2006

L’energia va oltre ciò che vediamo“. È questo il concept creativo sul quale si è basata la campagna istituzionale di Enel, che ha debuttato in tv il 18 aprile 2006 con una formula innovativa: un filmato di tre minuti andato in onda su RaiUno alle 20.35, e su Canale 5 alle 20.25, per poi proseguire con un’importante pianificazione on air su tutte le reti televisive italiane, sui principali network paneuropei, e su quotidiani, periodici, sale cinematografiche e ovviamente sui siti internet.

Per raccontare temi e valori che sono alla base della sua attività, Enel ha scelto il volto noto e di Giancarlo Giannini. Lo spot è strutturato in tre racconti narrati dalla voce calda e profonda del grande attore italiano e girate quasi integralmente all’interno delle storiche centrali Enel di Cogolo (Trento) e di Nove (Treviso), tra i più originali esempi di architettura industriale e nel centro storico di Mantova, Padova e Vicenza.

Il protagonista è la forza dell’energia che assume forme nuove e diverse, grazie all’amore e all’impegno che ognuno pone nel compiere gesti ed azioni quotidiane. Impegno e passione che Enel ha sempre voluto perseguire sostenendo la ricerca, la promozione della cultura e di un progresso rispettoso e sostenibile. Questo è il messaggio che l’azienda ha voluto veicolare. Con buoni risultati, almeno dal punto di vista di uno storytelling efficace ed emozionale.

Lo storytelling nello spot ENEL 2013

E ora veniamo alla seconda, triste campagna. L’iniziativa “Guerrieri” è stata lanciata il 26 agosto 2013 e in breve tempo ha effettivamente spopolato sulla rete. Ma la partecipazione degli utenti non è stata certo quella sperata dagli ideatori della campagna.

Nonostante l’operazione di marketing sia stata realizzata dalla prestigiosa agenzia Saatchi & Saatchi, i risultati della campagna sono stati controproducenti. Innanzitutto è stata creata una piattaforma di storytelling dove gli utenti sono stati invitati a condividere le proprie storie, le proprie battaglie affrontate nella vita di tutti i giorni. “Cerchiamo i #guerrieri del quotidiano”, si legge nel sito dedicato all’iniziativa. “Quelle persone che, tra mille difficoltà, stringono i denti e vanno sempre avanti. Che sia sul posto di lavoro, in famiglia, nel volontariato, che sia in risposta a una malattia o a un problema economico, i #guerrieri non mollano”.

Le storie inviate dagli utenti hanno partecipato a un concorso nel quale sarebbero state selezionate le cento con più seguaci. Tra gli autori, sarebbero stati poi estratti a sorte cinque vincitori con in palio una bicicletta elettrica. La campagna pubblicitaria è stata promossa anche attraverso Twitter (tramite l’acquisto di visibilità nei top trend) e gli spot televisivi realizzati dal regista e scrittore americano Andre Stringer e prodotti dalla Filmmaster Productions. “Qualunque sia la tua battaglia, hai tutta l’energia per vincerla. Anche la nostra”, recita lo slogan del video circolato in rete.

Purtroppo però gli utenti, in chiara polemica contro l’operatore dell’energia, hanno definito guerrieri “quelli che ogni giorno, nei territori, si battono contro le centrali a carbone di Enel”, oppure “quelli che devono pagare la bolletta più cara d’Europa e sono in cassa integrazione”. Tra i contestatori dell’azienda, compaiono anche personalità famose. Per esempio il collettivo di scrittori Wu Ming ha definito la campagna pubblicitaria come “il più clamoroso caso di eterogenesi dei fini nell’ancora breve storia del social media marketing italiano”.

O ancora Stefano Epifani, docente di Social media management alla Sapienza di Roma, ha fatto notare come: “tutte queste storie hanno una matrice comune, un errore di fondo: dimenticare che la rete dà voce ai nostri amici, ma anche ai nostri nemici, e la critica viaggia molto più veloce dell’apprezzamento. Soprattutto con strutture come Enel, che vedono una singola campagna trasformarsi nello ‘sfogatoio‘ di migliaia di utenti scontenti

Gianandrea Facchini, fondatore di Buzzdetector (società di social analytics), critica la scelta del nome della campagna: “La retorica del guerriero mi suona male, è lontana dalla realtà quotidiana che non ha nulla di epico. Ci voleva forse più umiltà nell’ avvicinarsi ai problemi quotidiani delle persone. Chissà ci sarà anche chi si prende la briga di cambiare fornitore”.  Mentre Vincenzo Russo , social media manager e ilFattoquotidiano.it, sostiene che: “Non è stata ancora capita da parte delle aziende italiane la rivoluzione del web 2.0. I mercati sono conversazioni. E nel conversare bisogna mettersi alla pari, essere onesti, chiari, e parlare la lingua dei propri interlocutori”.

Presidiare lo storytelling

Questi due case studies c’informano sui benefici ma anche sui rischi di chi sceglie lo storytelling per raccontare un brand. Per questo è fondamentale affidarsi a dei professionisti del settore (e spesso perfino loro possono sbagliare), evitando a maggior ragione chi millanta performance impareggiabili e guadagni facili e immediati. La maggior parte delle volte è solo un venditore.

Lo storytteling è un ‘arma molto potente, perché attinge dal campo dell’intangibile per creare valore tangibile, gioca con l’immaginario e con il desiderio antropologico di rappresentazione di cui l’uomo, semplicemente, non può fare a meno. E come tutte le armi potenti dev’essere presidiata, collaudata e promossa da chi ha le competenze ma anche l’umiltà per farlo al meglio.